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Romanza della donna velata - Gabriele d'Annunzio

ROMANZA DELLA DONNA VELATA

 

di Gabriele d'Annunzio

 

Chi dunque ne la mia memoria oscura

susciterà quel duplice ricordo?

Una musica e un sogno. (E una figura di donna?)

Oh, ch'io ritrovi il primo accordo

e rivivrà la dolce creatura,

ed il sogno con lei, nel mio ricordo;

e l'una e l'altro non morranno piú.

Ma quale fu la musica?

Ma quale fu il sogno?

Ma qual era il vostro viso, donna velata?

Il giorno era autunnale  (mi sovviene del giorno, all'improvviso!)

ed il sole era come un grande opale

in un ciel cosí bianco che un sorriso

di piena luna non è forse più.

D'altro ancor mi sovviene. Giungea piano

a me il suono, fin là su la ringhiera;

e pareami venisse di lontano

. Ai penduli rosai qualche leggera

aura facea, ne le pause, uno strano bisbiglio.

Ed anche quella musica era dolce;

ma non so quale fosse piú.

Profondavasi innanzi una contrada

nobile e calma; e un fiume la partiva

lento, che mettea foce in una rada cerula.

E il fiume lungi m'appariva

nel diffuso vapor come la spada

appannata da l'alito; o spariva

subitamente, non luceva piú.

D'altro ancor mi sovviene. Se talora

io mi volgeva, senza sollevare

le tende ove languia l'onda sonora,

io scorgeva a traverso quelle rare

trame confusamente la signora

misteriosa e vago luccicare

il cembalo ne l'ombra, e nulla piú. 

La musica fluiva, nel sovrano

incanto di quel giorno moribondo,

con tal dolcezza che il mio cuore umano

non la sostenne. Ed un oblío profondo

de la vita mi trasse in un lontano mondo.

Ah perché di quel lontano mondo,

anima mia, non ti sovviene piú?

 

 

 

 

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