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Gaio Giulio Cesare Ottaviano - Augusto

Caio Giulio Cesare Ottaviano - Augusto

 

Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, è stato il primo imperatore romano dal 27 a.C. al 14 d.C..

Nel 27 a.C. egli rimise le cariche nelle mani del senato; in cambio ebbe un imperio proconsolare che lo rese capo dell'esercito e il Senato romano, per determinazione di Lucio Munazio Planco, gli conferì il titolo di Augustus il 16 gennaio 27 a.C.

Dopo la morte di Cesare (15 marzo del 44 a.C., le Idi di Marzo) a Roma si apre la lotta per il potere tra Marco Antonio (14 gennaio dell’83 a.C. – 1° agosto del 30 a.C.) e Gaio Giulio Cesare Ottaviano (23 settembre del 63 a.C. -19 agosto del 14 d.C.).

Caio Giulio Cesare Ottaviano, meglio conosciuto come Augusto, l'uomo che ha cambiato la storia, trasformando Roma da Repubblica in Impero.

All’inizio, quando da ragazzino dodicenne, fa le sue prime apparizioni accanto al potentissimo Cesare – Cicerone lo vede per la prima volta a una cerimonia di sacrificio.Le fonti latine, a posteriori – Svetonio, ad esempio, che è autore dell’opera Augustus’, Livio, Tacito  -pullulano di aneddoti che lo qualificano come un predestinato. 

Dopo la tragica morte di Cesare, rientra da Apollonia (luogo allora importante; attualmente le rovine si possono visitare nei pressi del villagio albanese di Pojan) e scopre di esserne stato nominato erede.

Dopo aver consolidato la propria posizione nel corso degli anni Venti cercando di non rompere i legami con la precedente tradizione repubblicana, Ottaviano Augusto si dedica a un’ampia opera di riforma del governo e dell’amministrazione dello stato, di cui allarga anche i confini intraprendendo numerose guerre

 

Augusto parla di sé
Res gestae divi Augusti, cap. III, IV, XXVI

Combattei spesso in terra e in mare guerre civili ed esterne in tutto il mondo, e vittorioso risparmiai tutti i cittadini che chiedevano grazia. Preferii preservare anziché distruggere i popoli stranieri ai quali si poté perdonare senza pericolo. I cittadini romani che prestarono a me il giuramento militare furono circa cinquecentomila. Di essi, alquanto più di trecentomila, che avevano ottenuto il congedo, stanziai in colonie o rinviai nei loro municipii e a tutti assegnai campi o elargii denaro come premio del servizio militare. Catturai seicento navi, senza contare quelle minori delle triremi.

Ebbi due volte l’onore dell’ovazione e tre volte celebrai trionfi curuli e fui salutato imperator ventuno volte, decretandomi il senato ancora altri trionfi, ai quali tutti rinunciai. Deposi l’alloro dei fasci nel Campidoglio, sciogliendo così i voti che avevo pronunciato in ciascuna guerra. Per le imprese felicemente compiute in terra e in mare, da me o sotto i miei auspici da miei luogotenenti, il senato decretò in cinquantacinque occasioni rendimenti di grazie agli dèi immortali. I giorni, poi, nei quali per decreto del senato furono pronunciate le preghiere, giunsero a ottocentonovanta. Nei miei trionfi furono tratti davanti al mio carro nove re o figli di re. Quando scrivevo queste memorie ero stato console tredici volte, ed ero al trentasettesimo anno di potestà tribunizia.

Ampliai il territorio di tutte le province del popolo romano con le quali confinavano popolazioni riottose al nostro comando. Ristabilii la pace nelle province galliche e ispaniche, e ugualmente nella Germania, nell’area che costeggia l’oceano da Cadice allo sbocco del fiume Elba. Pacificai le Alpi dalla regione prossima al mare Adriatico fino al Tirreno, a nessuna popolazione avendo portato guerra ingiustamente. La mia flotta navigò per l’oceano dalla foce del Reno verso oriente fino ai territori dei Cimbri, dove né per terra né per mare alcun romano prima di allora si era mai spinto, e i Cimbri e i Caridi e i Sennoni e altri popoli germanici della stessa regione chiesero per mezzo di ambasciatori l’amicizia mia e del popolo romano. Per mio ordine e sotto i miei auspici, due eserciti vennero guidati quasi contemporaneamente in Etiopia e nell’Arabia detta Felice, e vaste schiere di entrambe le popolazioni nemiche furono uccise in campo e molte città conquistate. In Etiopia si giunse fino alla città di Nabata, cui è prossima Meroe; in Arabia l’esercito marciò in territorio dei Sabei fino alla città di Mariba.

Augusto, Res gestae divi Augusti, trad. it. Luca Canali, Roma, Editori Riuniti, 1993.

 

Prima delle Res gestae, a diffondere e amplificare la visione che Augusto ha del proprio potere, non trascurabile è stato il contributo di Virgilio e di Orazio.

 

 

 

 

 

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